Ho visto una campionessa di pattinaggio russa che stava 5 minuti sul ghiaccio al ritmo della sigla di una trasmissione televisiva giapponese.
Un esercizio strepitoso rappresentato da grazia, forza fisica, coordinamento, lavoro e ancora lavoro.
Mentre danzava, forte dei suoi 17 anni, cantava il testo di quella canzone che conosceva a memoria.
Il pubblico di Tokio era in visibilio. Doppia la partecipazione e l’entusiasmo: per la bravura nell’esecuzione e per l’amore dell’atleta per questa sigla e per il cartone animato che le dava vita.
Una cantante a ritmo frenetico. In giapponese.
Fatico a salire le scale, sono anni che ho dimenticato la corsa, spesso, dopo uno sforzo, sono dolorante.
Se ho un rimpianto è quello di non poter più giocare a pallone con gli amici, mentre anche solo l’idea di fare due tiri di hockey mi distrugge la schiena. Qualche volta mi ritrovo a spiare i ragazzi che palleggiano, i maglioni come porte. Non invidia, ma nostalgia.
Però ripensavo a quella ragazza e alla sua gioventù. Le sue scelte mi sono sembrate sprecate, quasi offensive.
Non l’ho giudicata, né gelosia né pena.
Non pervenuta, e basta.
Sarò io l’alieno, ma siamo proprio di due razze diverse. Viviamo in mondi differenti, abbiamo avuto vite imparagonabili, persino l’aria che respiriamo ha un’altra storia e altri sentimenti. Io credo di essere un uomo travolto dai difetti e non posso competere, con un cartone animato, anche se pattina.
Però due tiri a hockey,da fermi, dovremmo riuscire ancora a farli!
L’ultima volta che ho provato sono rimasto fermo due anni, e adesso (ne sono passati 5) ancora zoppico. Va avanti tu…